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L’Amanita muscaria è probabilmente il più famoso fungo tossico di tutti i tempi: un tempo associato a miti e rituali, trova il suo posto anche anche in film e videogame.

Nella medicina popolare dei popoli slavi veniva applicato esternamente su eritemi, micosi, sciatica, artrite, dolori articolari e linfonodi gonfi. Ha una lunga tradizione anche come pesticida naturale, muscimolo ed acido ibotenico inibiscono il sistema centrale degli insetti stordendoli.

E’ FUNGO TOSSICO INEDIBILE CHE NON VA CONSUMATO IN NESSUN MODO, E’ DESTINATO SOLTANTO AD ESPOSIZIONE ED APPLICAZIONI ESTERNE.

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forma Intero In polvere
quantita 25g 100g 250g
Azzera selezione
Confronta

Descrizione

Le proprietà GABAergiche [37], antiadditive [41], analgesiche [42], psichedeliche [43], psicotomimetiche [48], ansiolitiche [49], oneirogene [50], sonnifere [52], sedative [53], anticonvulsivanti [61], miorilassanti [63], antispastiche [64], neuroprotettive [69], immunomodulanti [70], antinfiammatorie [72], anoressizanti [74], appetizzanti [75], ipoglicemiche [79], ipotensive [84], bradicardiche [84], insetticide [89] dell’ovulo malefico e dei micocostituenti sono supportate dalla ricerca scientifica.

Il muscimolo è attualmente sotto studio come alternativa alle bezodiazepine classiche priva di potenziale di dipendenza.

Anche se in occidente viene considerato un fungo velenoso, nella farmacopea dei popoli slavi veniva indicata nel trattamento di sintomi menopausali, nervosismo, disturbi cognitivi, algie, mal di gola, crampi intestinali e della vescica; esternamente veniva applicato su eritemi, micosi, sciatica, artrite, dolori articolari e linfonodi gonfi.

L’intossicazione da Amanita muscaria provoca particolari sintomi a carico del CNS: sedazione, dissociazione e sensazioni oniriche, alterazioni sensoriali oltre a forti effetti periferici fastidiosi dovuti all’acetilcolina presente nel fungo (non alla muscarina come si pensava in passato).

A dosi molto alte può indurre effetti visionari e simil-delirogeni come lo zolpidem o altri GABAergici particolari, ci sono anche dei casi di morte in seguito ad overdose massiccia.

L’Amanita muscaria è una specie complessa comprendente 4 diversi taxa muscaria var. muscaria, muscaria subsp. flavivolvata, muscaria var. quessowii, muscaria var. inzengae più altri 3 taxa che venivano considerati specie distinte, breckonii, gioiosa ed heterochroma [1].
Il più comune in Europa ed Italia è la muscaria var. muscaria, riconoscibile dal classico cappello rosso e le verruche bianche che la pioggia può lavare via.

Secondo Kögl e Erxleben il colore rosso è dovuto alla muscarufina, un derivato terFenilquinonico [2]. Tuttavia si è visto che le tonalità gialle e rosse della muscaria sono dovute ad un complicato miscuglio di composti molto labili diversi dai terfenilquinoni [3].
In presenza di qualche carenza nello sviluppo del pigmento viola, la muscapurpurina, il fungo tende verso il giallo o arancione piuttosto che il rosso.

Beringia
Mediante analisi filogenetiche sono stati individuati i 3 principali cladi (Eurasiatico, Eurasiatico-alpino e Nord Americano) dell’Amanita muscaria distribuiti simpatricamente nel territorio dell’Alaska.
Ogni specie condivide almeno 2 varianti morfologiche con le altre compatibilmente col fenomeno del polimorfismo ancestrale.
Gli autori ipotizzano che si tratti di specie gemelle e non allopatriche, evolutesi in Beringia quindi frammentatesi in Nord America ed Eurasia.
Popolazioni di ciascun clade potrebbero esser sopravvissute nella zona adattandosi al freddo [4].
Infatti da una ricerca successiva si è visto che l’Amanita muscaria era presente in Alaska durante l’ultimo periodo glaciale.
Due popolazioni endemiche (aplotipo D in Clade I ed aplotipo D in Clade II) sono state individuate nella foresta boreale della regione interna e nelle foresta pluviale marittima dell’Alaska Sud-orientale e del Pacifico Nord-occidentale.
Molti aplotipi in Clade II erano condivisi con gli esemplari eurasiatici suggerendo un corposo fenomeno migratorio attraverso lo Stretto di Bering e aprendo la possibilità di un colonizzazione postglaciale dall’Asia [5].

Anche le analogie nelle pratiche associate al consumo del fungo fanno pensare ad un antenato beringiano comune che accomuna le tribù Americane ed Euro-asiatiche.

Descrizione
Ordeine: Agaricales
Famiglia: Amanitaceae
Genere: Amanita
Specie: A. muscaria
Varietà: A. m. var. muscaria
Nativo: Asia, Europa, Alaska occidentale
L’Amanita muscaria eurasiatica (Amanita muscaria var. muscaria) è un fungo caratterizzato da un cappello rosso sgargiante coperto da particolari escrescenze bianche a puntini che vengono lavate via dalla pioggia. In alcuni casi si può presentare anche di colore arancione o giallo.

Coltivazione
La coltivazione è possibile solo in condizioni outdoor, il micelio cresce in mezzo alle radici dei pini e senza non può svilupparsi.

ETNOMICOLOGIA
USA e Canada
Gli Ojibway e altre tribù Algonchine come gli Innu e gli Abenachi impiegavano l’Amanita a scopo divinatorio nei rituali sciamanici.
Un padre superiore dell’ordine dei Gesuiti, Perc Charles I’Allemant, scrisse nel 1626 una lettera dal Quebec al fratello in Francia descrivendo le credenze religiosi dei nativi Algonchini. Riporta che fossero sicuri che una volta morti sarebbero andati in paradiso dove avrebbero mangiato funghi ed intrattenuto rapporti sessuali.

Gordon Wasson, il famoso etnomicologo statunitense, dopo aver ricevuto questa notizia dall’amico e collega Claude Levi-Strauss, contattò un certo Nichols presso l’Università del Wisconsin che gli diede il contatto di uno sciamana Ojibway, Kenvaydinoquay.
La donna era l’ultimo abitante di una piccola isola nell’area dei Grandi Laghi ed un esperto conoscitore della sua cultura [6].
Si deve a lei il racconto sulle origine dell’Amanita recuperato da un ojibeweg, un disegno tradizionale su una corteccia di betulla che fungeva da riferimento mnemonico per le storie raccontate nelle serate invernali.

Miskwedo era il fungo con il cappello rosso figlio di Nokomis Giishik, Nonna Cedro, e Nimishomiss Wigwass, nonno betulla.
C’erano due fratelli figli di una donna del clan del gufo e un uomo del clan dello storione, entrambi deceduti, che vivendo da soli condividendo ogni cosa.
Essendo ancora troppo giovani per il nome da uomo adulto venivano chiamati Fratello Anziano e Fratello Giovane.
Un giorno in cerca di cibo scalarono una montagna ed entrarono in un caverna da cui proveniva una luce ed un suono incredibile simile al ronzio di uno sciame d’api.
Videro un prato bellissimo in una splendida giornata di sole dove crescevano molti funghi alti di colore rosso e bianco che ruotavano e cantavano una strana canzone gioiosa.
Il fratello più giovane si precipitò dentro, l’altro cercò invano di fermarlo ricordandogli che non conoscevano gli spiriti che dimoravano in quel luogo.
Si gettò sul più grosso e bello dal cui cappello spuntò una lanugine bianca che fuse il corpo del fratello giovane al gambo del fungo.
Il più anziano vide il fratello sviluppare un cappello rosso accesso, quindi iniziò a volteggiare sotto al sole dapprima lentamente poi sempre più veloce.
L’altro nota della posizione del fratello e del grosso fungo che lo aveva trasformato, quindi fuggì via senza guardarsi più indietro fino al villaggio.
Raccontò l’accaduto agli anziani e agli uomini di medicina chiedendo loro consiglio. Loro interrogarono il Tamburo e gli diedero una risposta.
Doveva andare in un luogo chiamato “Posto delle Sabbie Magiche” sulle alte scogliere lungo il corso del lago.
Lì doveva raccogliere le sabbie magiche, onoman, e metterle in una borsa di pelle di cervo con del tabacco sacro quindi ringraziare gli spiriti del luogo con una preghiera.
Proseguendo sul sentiero fino al “Posto dove Crescono gli Alti Alberi e Nidificano le Acquile, doveva trovare l’albero più alto su si trovava il nido dell’aquila più grande, l’Uccello del Tuono.
Prese le piume, doveva dedicare una preghiera all’Uccello del Tuono e continuare la strada.
Doveva raggiungere la caverna dove aveva trovato i funghi ed individuare il capo, il più grande e bello.
Rivolgendosi ad est con le piume in mano e invocando la benedizione di Gitchi Manitou, doveva correre sul prato e affondare la piuma nel capo che avrebbe smesso di ruotare.
A quel punto doveva localizzare il più saggio dei funghi, l’anziano che sporulava, e trafiggere anche lui allo stesso modo.
Quindi doveva farlo anche sul fratello trasformato e, dopo avergli gettato addosso la sabbia magica, estirparlo con attenzione senza romperne niente.
Infine doveva uscire dalla caverna portandolo con se e lasciando l’ultima penna magica sull’apertura.
Allontanandosi il Fratello Giovane sarebbe diventato sempre più pesante fino a tornare quello originale tranne che per una penna d’aquila che sarebbe sempre rimasta a sporgere dalla sua pelle. Il Fratello Anziano fece tutto alla lettera e le cose andarono come avevano previsto gli anziani.
Riuscì a riportare il fratello al villaggio e tornarono a vivere insieme in armonia.
Tuttavia col tempo il Fratello Anziano divenne sempre più triste mentre il giovane si svegliava sempre felice; inoltre passava molto più tempo ad urinare, specialmente quando la luna era piena. Indagando il Fratello Anziano scoprì che in realtà si addentrasse nel bosco.
Qui nel centro di un posto aperto al cospetto di molte persone aprì le braccia a guisa di cappello di fungo e con la veste rossa e le penne bianche in capo parlò con una voce simile al suono di uno sciame d’api.
Disse che era tornato dalla terra di Miskwedo per alleviare le sofferenze e portare via la tristezza, bastava avvicinarsi al suo pene e bagnarsi con le acque che ne sgorgavano.
Ogni volta che le nuvole coprono la luna nel cielo lui urina e le genti la raccolgono nei contenitori di legno di betulla.
Bevono il liquido donatogli dagli spiriti di Miskwedo, quindi tutti i membri del culto compreso Fratello Giovane che è il fungo capo cantano le loro canzoni allegre.
Fratello Anziano non capiva ed era triste pensando che non ne potesse venire niente di buono. Neanche Fratello Giovane aveva capito le vie del fungo ma continuò ad essere felice e dare beatitudine agli altri seguaci.
Così è fino ad oggi: ci sono Fratelli Anziani che non capiscono e sono tristi Fratelli Giovani che, anche non comprendendo, sono felici e bevono l’elisir accedendo alla conoscenze superiori.
L’elisir è e Kesuwabo, il Potere liquido del Sole [7].

La diatriba sull’uso dell’amanita è insita nella cultura Ojibway e ha radici antichissime. Keewaydinoquay raccontò che la sua maestra si opponeva fanaticamente al consumo del fungo ed aveva dovuto apprendere quest’arte da un altro sciamano.
Dal racconto emergono anche le proprietà antidepressive, oltre all’usanza tradizionale di assumere la droga dalla pipi di altri assuntori in comune tra Hindu, nativi Americani e popolazioni slave.

I missionari cattolici e protestanti proibirono il consumo del fungo, tuttavia, in base ai dati forniti dalla sciamana, i bianchi che vivevano a stretto contatto con gli Anishinaabe lo conoscevano e alle volte ne facevano ricorso.
In un resoconto del 1889 sulle loro usanze viene menzionata una forma di intossicazione tediosa impiegata per ottenere l’ispirazione per i canti cerimoniali che era stata sostituita da quella rapida dell’alcol [8].

Guatemala, Messico, Honduras
Durante le sue ricerche sui nomi locali dei funghi tra i Kʼiche del Guatemala  il famoso micologo e botanologo americano Bernard Lowy venne a sapere che l’Amanita era nota come kaqulja, tuono ma anche fulmine. L’analogia con la leggenda hindu di Garuda, dall’altra parte del mondo, supporta la teoria dell’origine ancestrale in Beringia [9].
I nativi lo consideravano velenoso e non lo consumano.

Anche in diverse località in Messico i nomi popolari del fungo contengono riferimenti al tuono lasciando pensare che siano stati tramandati dalla comune civiltà progenitrice dei Maya.
A supporto di ciò dagli scavi archeologici , per lo più clandestini, in Messico meridionale, Honduras, Guatemala ed al Salvador sono stati rinvenute diverse statuette di pietra a forma di fungo datate 1000 a.C. che potrebbero testimoniare l’esistenza di un antico culto legato all’Amanita o agli Psilocybe [10].

Soma e cultura Hindu
Per molti anni si è tentato di dare un identità precisa al leggendario Soma, una bevanda psicoattiva, menzionato nel Ṛgveda, il più antico testo della cultura indo-ariana. Negli anni ’70 Wasson ha proposto l’Amanita come il più probabile candidato allegando diverse argomentazioni [11].
In primo luogo la mancanza di riferimenti su una precisa parte botanica (radici, foglie, semi, etc.) fa pensare subito ad un fungo. L’habitat montuoso dove cresceva potrebbe essere l’Himalaya o l’Hindu Kush, zone ricche di funghi spontanei.
I poeti vedici paragonano il Soma al sole e al fuoco, con un forma liquida come la pioggia e brillante come il fulmine. Il suo colore è rosso accesso come quello degli etasa, i destrieri che trainano il Sole.
Già da qui si notano molti elementi analoghi alle credenze dei nativi americani sull’Amanita.
In alcune descrizioni ritroviamo la possibile metafora tra i raggi del sole e le verruche bianche o gialle del fungo.
In altri passi viene descritto l’occhio singolo del Soma possibile cappello rosso privo di chiazze; viene chiamato anche “Pilastro del Cielo” alludendo forse al portamento eretto del fungo. Il cappello, murdhan, è collegato alle porte del paradiso.
Altri riferimenti riguardano la trama particolare che cambia in base alla maturazione e al momento della giornata: durante il giorno sembra fulvo, mentre la notte bianco-argentato.
Un ulteriore prova a sostegno della teoria di Wasson sarebbe l’aggettivo nabhi che presenta analogie col termine arcaico navel impiegato in Eurasia per indicare i funghi.

Dal Soma viene ritualmente spremuto un liquido giallo Pavamana, che viene filtrato nella lana.
Nel IX Mandala un ulteriore filtro viene rappresentato dallo stesso Soma che, attraverso le verruche bianche filtra i raggi del sole provenienti dal paradiso.
Il terzo filtro menzionato negli Inni 73 e 97 potrebbe essere proprio l’assuntore umano o animale, in riferimento alle particolari proprietà farmacologiche dell’Amanita che permette di assumere una dose attiva dall’urina di un altro assuntore.

L’ipotesi è supportata dalla descrizione di uomini gonfi (probabilmente per via della vescica piena) che espellono il Soma con l’urina.
Il mito riporta che il dio Indra urinasse tutti i giorni dopo aver assunto la bevanda che circolava nella sua pancie e nelle sue visceri. Un racconto Brahmano racconta che una volta la divinità ne bevve così tanto che uscì da tutti gli orifizi del suo corpo. Anche nel Mahabharata si menziona il consumo dell’urina di Krishna per accedere al reame degli immortali. I Manichei, una setta del Zoroastrismo, sotto stati criticati da funzionari Cinesi per il consumo eccessivo di funghi rossi ed urina umana nelle loro cerimonie. In India i Sadhu trasmettono il potere ai discepoli in diversi modi, tra cui la somministrazione delle loro urina.

Secondo Wasson il fungo, che non era sempre disponibile, sarebbe stato sostituito progressivamente da surrogati tra le piante rampicanti lattiginose comuni nella zona come le specie Sarcostemma fino a venire completamente dimenticato comuni nella zona fino a venire completamente dimenticato dopo la conquista ariana dell’India. A conferma di ciò alla fine del Rgveda troviamo scritto che si crede di bere il Soma ogni volta che si pesta una pianta ma il vero elisir non lo beve nessuno.
Aja Ekapada, una rappresentazione di Shiva, significa “il non nato monopodalico”, riferendosi secondo Wasson ad un fungo che regge su un gambo e sembra nato dal nulla. A rinforzo di ciò nell’Inno 65 del X libro del Rigveda l’epiteto del Soma, Pilastro del Cielo, viene usato su questa divinità. Inoltre Plinio riporta che una creatura monogamba viveva in India dormendo all’ombra del suo stesso piede. E’ curioso notare che i nativi Mazatechi in Messico chiamino l’Amanita muscaria con epiteti simili.
Il corrispettivo dell’Uccello del Tuono sarebbe rappresentato da Garuda, il volatile a due teste, che ruba il Soma per riavere la madre rapita dai Naga.

Siberia
L’uso dell’Amanita è attestato sia in Siberia occidentale e Penisola del Tajmyr tra Ostiachi e Samoyeds che lo consumano occasionalmente ancora oggi; che in Siberia orientale tra Ciukci, Koryachi, Itelmen, Inuit, Yukaghiri, Evenchi e coloni Russi.
Tra i Khanty anche le donne potevano diventare sciamane ed amministrare la medicina. Il fungo viene associato a degli spiriti che hanno le sue fattezze e sono alti la metà di un uomo, questi pretendono l’obbedienza del consumatore e chiedono solitamente “perche mi hai mangiato?”. Una volta esposto il quesito rispondono con una canzone o un racconto e lo portano in altri mondi mostrando visioni. Tra i Koryachi sono noti come wapaq, appellativo usato anche per l’Amanita.
I Nenets della foresta credono che solo chi è affine alla natura intima del fungo può ottenerne beneficio, altrimenti gli spiriti non si fanno vedere e lo sciamano sprofonda nel buio. Oltre alla porzione normale consumano mezzo cappello per evocare uno spirito più debole  e lento di quelli normali. Così possono riuscire a stargli dietro nella mitica corsa verso il sole che credono di affrontare durante l’intossicazione.
Il famoso antropologo russo Vladimir Bogoraz che studiava i Ciukci in prossimità Alaska scrive di una mitica razza dotata di un solo attributo (una gamba, un occhio, etc.). Tra i loro racconti ce n’è uno in cui il Fulmine viene descritto come un uomo monopodalico che trascina sua sorella intossicata dall’Amanita fino al paradiso dove, colpendo il pavimento, fa il rumore di un fulmine e la sua urina è pioggia [12].
Questi ed altri elementi sembrano in analogia con le altre popolazioni che consumavano l’Amanita muscaria.

Oltre all’uso magico e rituale, il fungo veniva impiegato come psicostimolante per facilitare il lavoro pesante ed alleviare lo stress fisico; gli effetti sulle capacità cognitive sono stati sfruttati per migliorare la performance e la recitazione dei racconti epici. In più veniva consumato come narcotico e sedativo [13].

Giappone
In Giappone il fungo viene chiamato bengi-tengu-take, il termine tengu identifica i goblin delle montagne, mitologici guardiani dei templi noti per le loro burle beffarde e la capacità di volare (entrambi attributi tipici dell’ebbrezza indotta dall’Amanita). Nel racconto popolare intitolato Mottomo no Soshi, una di queste creature diventa ubriaca mangiando un certo fungo che si presume sia l’Amanita muscaria.
Da sempre vengono preparati e conservati sottaceto per essere consumati senza rischio di intossicazioni, la lunga macerazione determina il passaggio dei principi attivi sopravvissuti alla cottura nel liquido acido di conservazione [14].

L’Amanita muscaria contiene:

alcaloidi: muscimolo, muscazone, muscarina (0.0002-0.0003 %), allomuscarina, epimuscarina, muscaridina, R-4-idrossi-2-pirrolidone (tracce), 1,2,3,4-Tetraidro-1-metil-β-carbolina (>10 ppm);

amminoacidi: acido ibotenico, acido tricolomico (la cui probabile presenza non è però mai stata confermata da analisi definitive), acido stizolobico, acido stizolobinico, hercinina, betaina;

pigmenti: muscarufina, muscaurine, muscaflavina, muscapurpurina, muscarubrina;

polisaccaridi: β-D-glucano, glucano alcali-solubile α-(1→3), fucomannogalactano;

alcoli: mannitolo

metalli: argento, alluminio, arsenico, cadmio, rame, mercurio, manganese, rubidio, selenio, zinco e vanadio (principalmente come amavadina);

polipeptidi: amatossine, fallotossine (tracce);

altri: colina, acetilcolina.

Il principale composto psicoattivo è il muscimolo, l’acido ibotenico ha una potenza di circa 5-10 volte inferiore, il muscazone è il meno attivo.

Secondo alcuni autori contiene anche piccole quantità bufotenina ed alcaloidi tropanici come atropina, iosciamina e scopolamina [15], tuttavia  il fungo contiene diversi sostanze basiche, probabilmente ammine o simili composti dalla struttura semplice, che mostrano una mobilità cromatografica simile a certi alcaloidi delle Solanaceae [16]. La loro presenza infatti non è mai stata dimostrata da analisi affidabili e i report aneddotici suggeriscono che non siano coinvolti negli effetti psicotropi dell’Amanita muscaria.

La concentrazione degli alcaloidi non è uniforme in tutte le parti: le massima sono localizzate nella polpa gialla sotto la cuticola (0,086% acido ibotenico e 0,042% muscimolo peso fresco), quella bianca contiene circa 3-4 volte meno acido ibotenico e 1/6 in meno di muscimolo.
La lamina contiene un livello di muscimolo comparabile alla polpa gialla ma un contenuto relativamente basso di acido ibotenico (0,01% peso fresco), il gambo contiene pochissimi alcaloidi e viene sovente scartato per la presenza di larve (valori ottenuti da [17]).
Anche nelle spore sono presenti piccole tracce di alcaloidi [18].
La cuticola viene sovente scartata essendo povera di alcaloidi e ricca di pigmenti potenzialmente indigesti (o anche tossici).

La maturità del fungo incide sulla quantità di principio attivo, le concentrazioni massime sono state riportate nei primi stadi dello sviluppo quando è più visibile ad eventuali predatori [19].
Altri fattori importanti sono il periodo di raccolta ( i funghi raccolti in estate hanno concentrazioni fino a 10 volte superiori di quelli autunnali [20]) e la varietà di muscaria (le specie americane var flavivolvata e guessowii sono risultate generalmente meno potenti della muscaria eurasiatica).

TOSSICITA’
In passato l’Amanita muscaria veniva considerata il fungo velenoso per eccellenza, da lei è stata isolata per la prima volta la muscarina, un alcaloide molto tossico che ha importanti effetti sul sistema parasimpatico. Tuttavia questa specie contiene una percentuale di circa 0.0003% del peso fresco e servirebbero diversi chili di fungo per assorbirne una quantità significativa. Gli Inocybe e Clitocybe arrivano anche a concentrazioni di oltre 1.6% [21].
Lo stigma, oltre al tabù religioso, è dovuto più che altro alla tossicità di altre specie del genere come verna, virosa e phalloides che sono conosciute da sempre come mortali e velenose, si pensi all’assassino dell’imperatore romano Claudio [22].
Questi funghi sono tossici non tanto per il contenuto di muscarina ma per quello di ciclopeptidi, come le amatossine e le fallotossine, che non vengono degradati da cottura, essiccazione o congelamento.

Anche la tossicità dell’acido ibotenico è tutt’altro che scontata. Il composto si comporta come agente lesionante se iniettato direttamente nel cervello; il metabolismo, data anche l’instabilità e la scarsa biodisponibilità della molecola, potrebbe cambiare drasticamente la severità degli effetti. Infatti la somministrazione di dosaggi massivi per via intraperitoneale nei ratti non ha mostrato alcun segno di eccitotossicità [23].
A conferma di ciò un estratto acquoso di Amanita muscaria (non decarbossilato) assunto con le stesse modalità ha ridotto i livelli di acetilcolina esterasi, glicogeno epatico e l’indice di azoto ureico dei ratti maschi incrementando la glicemia solo temporaneamente ed in maniera reversibile. I valori sono tornati alla normalità in sole 6h e le funzioni vegetative non sono risultate alterate suggerendo che il fungo sia sicuro in acuto per fegato e reni [24].

Piuttosto bisognerebbe fare attenzione al contenuto di metalli pesanti tossici come mercurio e cadmio (in base anche al substrato ed all’ambiente di crescita), di cui l’Amanita muscaria è un efficiente bio-concentratore [25]).
Anche composti meno conosciuti come l’acido stizolobico, un altro amminoacido eccitatorio, o l’acido tricolomico, in grado di inibire i neuroni degli invertebrati, potrebbero determinare una certa tossicità se fossero presenti in quantità significative.
Se poi si considera anche l’aspetto cronico, c’è anche da monitorare lo stress renale ed epatico indotto dalle somministrazioni ripetute [26].

ESTRAZIONE E LAVORAZIONE
L’acido ibotenico viene convertito in muscimolo attraverso la decarbossilazione, trattando il fungo fresco si riduce il primo composto in favore del secondo.

-L’essiccazione a freddo non altera significativamente il rapporto acido ibotenico/muscimolo ma concentra semplicemente i principi attivi eliminando la parte acquosa.
-Essiccandolo a caldo artificialmente a 40C° l’acido ibotenico diminuisce leggermente mentre il muscimolo aumenta di circa 10 volte; a 80C° il primo composto diminuisce fino a meno del 20% mentre il secondo arriva al 650% del contenuto di partenza. A 120C° restano solo tracce di acido ibotenico e il muscimolo viene ridotto di circa il 50%.
-L’esposizione al sole per 3 giorni dimezza il contenuto di acido ibotenico e decuplica quello di muscimolo; a 11 giorni del primo rimane solo un 10% circa, mentre il secondo aumenta di 4-5 volte. L’acido ibotenico viene anche covertito in muscazone, un metabolita meno attivo, a una certa lunghezza di radiazioni UV.

Una volta essiccato il fungo si può fare un decotto acido per decarbossilare ulteriormente l’acido ibotenico, dopo 90m di bollitura a PH 4 il composto si è ridotto fino al 70% in favore del muscimolo che arriva fino al 150% (valori ottenuti da [27]).

La glutammato decarbossilasi è risultata di gran lunga superiore all’acido cloridico nella conversione dell’acido ibotenico in muscimolo ( 92.77% contro 53.89%) [28]. E ipotizzabile che fare lo yogurt fermentando il latte insieme al fungo possa risultare in un ottimo prodotto.
L’unico modo per avere una conversione ugualmente efficiente è infonderlo in una soluzione di dimetilsolfossido (DMSO) e acqua triziata (3H2O) [29].

URINA E DETOSSIFICAZIONE
Si sente spesso che l’esperienza migliore si ottiene dal consumo dell’urina di chi ha assunto il fungo, o anche meglio da quella di chi ha bevuto l’urina arrivando ad una sorta di terzo livello. Tuttavia non è vero che l’acido ibotenico viene completamente convertito nel corpo in muscimolo. Il fatto che siano stati ottenuti gli stessi effetti psicoattivi dal’ingestione orale di 100 mg di acido ibotenico e 10 mg di muscimolo [30] suggerisce che solo il 5-10% del primo composto venga decarbossilato (e che gli effetti visionari dipendano principalmente dal secondo).
Inoltre in base ad analisi non pubblicate effettuate dal Dr. Scott Chilton è l’acido ibotenico che viene escreto in gran parte nelle urine, i residui di muscimolo sono minimi [31]. A conferma di ciò Ott ha riportato che solo una piccola percentuale di muscimolo inettato nei topi viene espulsa nelle urine [32].
Quello che viene eliminato nell’urina sono gli amminoacidi non proteinogenici o anche le piccole tracce di muscarina (oltre a gran parte del muscimolo), non l’acido ibotenico.

In Siberia solo chi non poteva permettersi il fungo, che valeva anche quanto diverse renne, beveva l’urina dei più benestanti al fine di ottenere lo stesso effetto. Alle volte anche come booster dopo la dose di fungo vera e propria.
Non era una scelta, né un onore riservato a pochi, ma solo un modo economico per ovviare alla penuria di Amanita [33].

FARMACOLOGIA

Il muscimolo è strutturalmente simile al GABA ma diversamente da questo può superare la barriera ematoencefalica o mediante un meccanismo di trasporto attivo o perchè sufficientemente solubile nella membrana lipidica. Agisce come agonista del GABA-A e agonista parziale del GABA-C, ma è il legame col primo che determina gli effetti comportamentali caratteristici. Si è visto che gli effetti sedativi ed atassici indotti nei topi dipendano dall’alta affinità nelle regioni come talamo, ippocampo, nucleo caudato e putamen per una specifica popolazione di recettori GABA-A contenenti subunità a6 e mancanti di a1.
Da studi effettuati con radioligandi sui recettori GABA-A del cervello dei bovini è emerso che il muscimolo si lega sia ai siti ad alta affinità (Kd = 10 nM) che bassa (Kd = 0.27 mM), attiva funzionalmente il recettore (EC50 = 0.2 mM) ed inibisce la ricaptazione del GABA.
Provoca l’innalzamento della serotonina e l’abbassamento dei livelli di catecolamine nel cervello. Applicato localmente nei ratti ha ridotto il rilascio di GABA dal corpo striato [34].
Inoltre agisce come substrato per la GABA transaminasi [35].

L’acido ibotenico agisce come agonista sul recettore dell’N-metil-D-aspartato (NMDA) e metabotropici del quisqualato (Qm). Diversamente dagli acidi kainici non sopprime il legame col glutammato e ha poca affinità per i loro siti di legame, risultando meno tossico [36].
La capacità di penetrazione della barriera ematoencefalica di questo composto non è ancora stata ben definita, gli effetti che induce sono spiegabili attraverso la piccola quantità di muscimolo ottenibile dal metabolismo endogeno dell’acido.

Dipendenza e attività dopaminergica
Diversamente dalle benzodiazepine il muscimolo non causa dipendenza, agisce come un agonista e non come un modulatore allosterico positivo [37].

Nei test in-vivo si è comportato in maniera bifasica: le basse dosi di muscimolo inibiscono preferenzialmente gli interneuroni GABAergici risultando nella disinibizione delle cellule dopaminergiche dell’area ventrale tegmentale e, di conseguenza, incrementando i livelli mesolimbici di dopamina; al contrario le alte inibiscono i neuroni (DA). Ciò può essere spiegato dalla diversa espressione dei recettori GABA-A nelle cellule non-DA, oltre al pattern di innervazione GABAergica (più densamente rappresentato nelle non-DA) [38].
L’applicazione bilaterale del composto nel nucleus accumbens ha indotto una marcata ipoattività, al contrario nella substantia nigra ha stimolato il comportamento stereotipato dei ratti. Nel dorsale del rafe ha provocato un aumento dell’attività locomotoria [39].

Somministrato in dosaggi non-sedanti (8.8 µmol/kg, subcutaneo) insieme a cocaina (10 mg/kg, intraperitoneale) ed apomorfina (1.5 mg/kg, subcutaneo) ha bloccato l’aumento nell’attività locomotoria ed immobilizzato le cavie.
Inoltre ha ridotto iperattività ed ipermotilità indotte dalla morfina (25 mg/kg, subcutaneo), da solo invece ha indotto stimolazione (5.5 µmol/kg, intraperitoneale) [40].
L’iniezione di muscimolo nell’amigdala ha ridotto l’autosomministrazione di etanolo nei ratti dipendenti ma non nei controlli sani [41].

Analgesia ed assuefazione
Il muscimolo ha indotto un marcato effetto analgesico nei ratti, l’esposizione ripetuta ogni 4 ore ha portato allo sviluppo progressivo della tolleranza ma la pre-somministrazione di naloxone ha ridotto questi adattamenti senza influire sull’efficacia delle dosi successive alla prima.
In più pretrattamento a base di muscimolo ha attenuato l’assuefazione progressiva alla morfina potenziando al contrario gli effetti della prima dose. I ricercatori non hanno notato nessun sintomo d’astinenza imputabile al muscimolo [42].

Psichedelico
L’attivazione del recettore GABA-C presente nella retina determina i particolari ed effetti visivi (micropsia e macropsia) indotti dagli alti dosaggi di Amanita muscaria [43].
Le allucinazioni visive ed uditive indotte dal muscimolo sono molto diverse da quelle strutturate degli psichedelici, più simili a quelle di altri GABAergici allucinogenici.

E’ stato suggerito che gli alti livelli di mannitolo presenti nei tessuti del fungo permettano un trasporto centrale più efficiente degli alcaloidi, per questo gli effetti allucinogeni derivanti dal consumo del fungo sono superiori rispetto alla stessa quantità di principi attivi isolati [44].
L’azione psicotropa dell’Amanita muscaria risulta evidentemente identificabile nel muscimolo. Questo derivato isossazolico può indurre allucinazioni ed alterazioni sensoriali come lo zolpidem o altre nonbenzodiazepine (z-drugs); il meccanismo ancora non è stato chiarito ma a quanto pare, nonostante la mancanza di affinità serotoninergiche, viene influenzato dall’inibizione dell’uptake della serotonina [45].

Anticolinergico/colinergico
Sebbene muscimolo ed acido ibotenico non abbiano di per se effetti anticolinergici diretti, l’intossicazione severa da Amanita muscaria è stata caratterizzata come sindrome micoatropinica per via dei sintomi simili a quelli indotti dalle Solanaceae tropaniche. Si alternano fasi di depressione a stimolazione con una sintomatologia che comprende perdita della coordinazione muscolare, tachicardia, riduzione della motilità intestinale, ipertermia, tremori, disturbi respiratori, amnesia retrograda, secchezza cutanea e delle mucose.
Secondo alcune fonti questi effetti paradossali sarebbero dovuti all’interazione tra sostanze anticolinergiche e colinergiche [46].

La presenza di atropina o altri alcaloidi tropanici è stata smentita in più occasioni; anche la responsabilità della muscarina, potente tossina colinergica, (o dell’acetilcolina) è stata messa da parte per via delle limitatissime concentrazioni rilevate.
Piuttosto il muscimolo, a dosaggi estremamente alti, potrebbe indurre effetti delirogeni analogamente ad altri GABAergici particolari come lo zolpidem [47].

Psicotomimetico, ansiolitico
La somministrazione di muscimolo oralmente in 6 pazienti schizofrenici alla dose di 7 e 10 mg ha incrementato i sintomi psicotici relativamente ai punteggi di confusione, affettività e disturbi del pensiero. Lo stato di disorientamento indotto era caratterizzato da un’intensa preoccupazione interna con perdita di attenzione ed orientamento, il picco arrivava 1-2 ore dopo l’ingestione e gli effetti residui si esaurivano 5 ore dopo la dose. Spasmi mioclonici, sonnolenza e sogni vividi sono stati riportati in tutti i soggetti.
Dosaggi più bassi (5mg) hanno indotto un effetto tranquillante in diversi pazienti sena influire sul pensiero psicotico. La sostanza non ha mostrato tossicità sui segni vitali neanche alle dosi alte.
Gli effetti deleteri notati a 7-10mg potrebbero essere dovuti all’alterazione della coscienza indotta dal muscimolo, che in genere provoca preoccupazione interna e sogni vividi anche nei soggetti sani e potrebbe aggravare i sintomi psicotici indirettamente. A 5mg l’effetto visionario sembra essere trascurabile [48].
L’azione ansiolitica si deve all’attivazione dei recettori GABA localizzati nel nucleo laterale dell’amigdala [49].

Sedativo, sonnifero, oneirogeno
La somministrazione di muscimolo nel nucleo del rafe dorsale dei felini ha incrementato la durata del sonno REM attraverso il meccanismo GABA-dipendente di modulazione serotoninergico del nucleo [50]. Tuttavia l’inezione di nel nucleo tegmentale pedunculopontino dei ratti ha soppresso il ritmo θ, uno dei marker dell’attività REM nell’ippocampo [51].
Nei ratti ha indotto un pattern di attivazione neuronale che riflette quello del sonno naturale in nucleo preottico ventrolaterale (VLPO) e tuberomammilare (TMN) ma non nel locus coeruleus [52].
Altre evidenze animali riportano il potenziamento dell’effetto di benzodiazepine ed altri sedativi [53].

Stimolante
Si è speculato a lungo sugli effetti dell’acido ibotenico identificandoli con la componente stimolante dell’esperienza, tuttavia l’azione psicotropa del composto, indipendentemente dalla sua funzione di profarmaco per il muscimolo, non è chiara.
Infatti le risposte fisiologiche estremamente simili indotte nei test comparativi dai due alcaloidi suggeriscono che abbia scarsa biodisponibilità e non superi facilmente la barriera ematoencefalica. L’assunzione di 20 mg per via orale ha provocato in un soggetto parestesia e sonnolenza, senza stimolazioni o alterazioni a carico di pressione sanguigna e frequenza cardiaca [54].
In condizioni sperimentali (iniezione intracranica) ha provocato eccitotossicità attraverso l’agonismo sui recettori NMDA ed in misura minore, quelli per kainato e quisqualato [55].

L’R-4-idrossi-2-pirrolidone è stato isolato da una frazione che ha contrastato l’effetto dei farmaci narcotici, ma le concertazioni estremamente basse nel fungo ne fanno un elemento farmacologicamente trascurabile [56].

L’acido stizolobico e stizolobinico agiscono come antagonisti competitivi sui recettori del glutammato e del quisqualato e quindi potrebbero influenzare la tossicità centrale dell’ibotenico . Non si conoscono i potenziali effetti psicoattivi sull’uomo, ma in un esperimento hanno stimolato il midollo spinale dei ratti [57].
L’acido tricolomico ha inibito la decarbossilasi dell’acido glutamico batterica, l’anzima che converte il glutammato in GABA; se avvenisse lo stesso nei mammiferi e fosse presente a concentrazioni significative potrebbe contribuire all’eccitossicità dell’Amanita [58].

Infine bisogna tenere conto che gli effetti paradossali stimolanti/narcotici sono comuni nei GABAergici in base al dosaggio e potrebbero essere provocati dal solo muscimolo [59].

Anticonvulsivante, miorilassante, antispastico
L’attività EEG del muscimolo (2mg/kg) su cani, conigli e gatti differisce notevolmente da quella dei classici psichedelici come LSD o mescalina e consiste principalmente di picchi ed onde lente come gli agenti anticolinergici o convulsivi [60].
Nei ratti, tuttavia, ha contrastato l’aumento dei livelli di guanosina monofosfato ciclica e le convulsioni indotte dell’isoniazide [61]; in altri esperimenti ha ridotto la frequenza di firing dei neuroni corticali potenziando gli effetti protettivi del sodio valproato [62].
Il legame con il GABA-A determina anche la soppressione pre e post-sinaptica della trasmissione nervosa tra motoneuroni spinali e afferenti muscolari [63].
Microiniezioni nel talamo ventrale intermedio hanno ridotto i sintomi dei pazienti affetti da tremore essentiale [64].

Capacità cognitive e malattie neurodegenerative
Il muscimolo ha alterato la ritenzione mnestica dei ratti, una dose successiva ha ripristinato la memoria acquisita. Il pretrattamento con morfina ha inibito questo meccanismo, il naloxone lo ha potenziato suggerendo il coinvolgimento del recettore μ-oppioide dorsale ippocampale [65].
Per via intraippocampale ha modulato le strategie ma non la velocità d’apprendimento dei ratti femmina con effetti variabili in base al ciclo estrale delle cavie [66].
In gatti e conigli ha compromesso la performance condizionata dalla ricompensa [60].

Dosaggi bassi micromolari di muscimolo hanno normalizzato le capacità cognitive e l’espressione proteica nel cervello riducendo la sovraespressione di acetilcolina esterasi nel modello animale del morbo di Alzheimer da steptozocina intracerebroventricolare. I ricercatori ipotizzano che gli effetti siano mediati dal legame con i siti aspecifici dei recettori GABA o dall’attivazione di meccanismi regolatori allosterici [67].
In uno studio a doppio cieco la somministrazione orale ha ridotto la corea in un soggetto affetto da malattia di Huntington con sintomi ipercinetici molto severi, inducendo però distonia, alterazioni elettroencefalografiche e comportamentali [68].

Neuroprotettivo
Il muscimolo è in grado di proteggere i neuroni piramidali dall’eccessiva eccitabilità stimolando la modulazione del recettore GABA-A sui neuroni glutammatergici e riducendo, di conseguenza, l’attivazione del recettore NMDA [69].

Immunomodulante, antinfiammatorio
Il muscimolo inibisce per via GABA-dipendente la sintesi dell’ossido nitrico [70] e con un meccanismo GABA-indipendente ne stimola il rilascio [71].
Nel modello animale di endotoxemia da lipopolisaccaridi ha inibito la produzione sierica di TNFα, IL-1β, IL-12 incrementando quella di IL-10 e la sopravvivenza delle cavie [72].

Fame e metabolismo
L‘Amanita muscaria si difende dai fungivori innescando un meccanismo di apprendimento condizionato dalla tossicità del muscimolo, è stato registrato il caso dell’opossum (Didelphis virginiana) che dopo aver consumato il fungo (ed essere rimasta intossicata) ha sviluppato un’avversione alimentare per lo stesso [73].

L’infusione di muscimolo nella corteccia insulare agranulare (AIC) ha ridotto assunzione di cibo, durata totale del pasto dei ratti, nella corteccia prefrontale ventromediale invece ha incrementato la durata della sessione media producendo anche un modesto effetto inibitorio sui comportamenti esplorativi [74].
Iniettato nell’ipotalamo ventromediale e nella parete nucleus accumbens ha stimolato il consumo di cibo delle cavie [75]; nel pallido ventrale ha ridotto il consumo del cibo preferito, stimolando invece quello del meno appetibile [76].
Gli effetti stimolanti vengono inibiti dagli antagonisti oppioidi μ, κ or δ sottolineando un importante interazione del GABA col sistema oppioidergico [77].

L’acido tricolomico isolato dal fungo ha un sapore gradevole superiore al glutammato monosodico e sinergico con l’aroma dell’acido inosinico e guanilico [78]. Anche acido ibotenico ed altri amminoacidi derivati influenzano la palatabilità dei cibi.

Ipoglicemico
L’applicazione intracerebroventricolare di muscimolo ha indotto un abbassamento della glicemia incrementando i livelli plasmatici di insulina e riducendo quelli di glucagone e somatostatina [79]
Per via introipotalamica può sopprimere l’ipeglicemia provocata dai neuroni colinergici dell’ippocampo in maniera dose dipendente [80].
La somministrazione intravenosa (1.5 mg/kg) ha ridotto l’utilizzo di glucosio da parte del sistema nervoso centrale dei ratti, la distribuzione regionale delle alterazioni non ha riflesso la topografia dei neuroni e recettori GABAergici [81].
Gli effetti glicemici determinano una riduzione del flusso sanguigno cerebrale, il composto non ha un effetto vasodilatatore diretto [82].
Esperimenti effettuati sul pancreas dei ratti hanno dimostrato che il muscimolo inibisce il rilascio di somastatina stimolato dal glucosio senza influire su quello di insulina [83].

Ipotensivo, bradicardico
Una microiniezione di muscimolo (2 mM in 100 nL) nel nucleo paraventricolare ipotalamico ha ridotto la pressione arteriosa media e la frequenza cardiaca dei ratti diabetici attivando i recettori GABAergici del romboencefalo [84].
Stessi risultati sono stati ottenuti sui gatti anestetizzati iniettandolo nel nucleo reticolare laterale [85].
Inoltre sembra attenuare il riflesso barocettivo [86].
Gli effetti ipotensivi sono mediati dai centri localizzati nella regione anteriore o sulla superficie anteroventrale dell’encefalo, con un piccolo contributo anche dai siti soprabulbari del proencefalo [87].

Ipertermico
Il muscimolo intraperitoneale ha indotto effetti termici dose dipendenti nei ratti che coinvolgono il metabolismo delle prostaglandine [88].

Insetticida
L’appellativo della specie, “muscaria”, si deve alla capacità del fungo di attrarre ed intossicare le mosche che ne ha fatto da sempre un popolare pesticida naturale nel corso della storia presso diverse culture.

L’acido ibotenico e, in misura minore, il muscimolo sono tossici sulle specie di Drosophila frugivore (D. immigrans e melanogaster), ma non su quelle micofage (D. bizonata, angularis, brachynephros) [89].
Da esperimenti degli anni 60′ si è visto che i principi attivi del fungo agiscono sul sistema nervoso centrale degli insetti e non sul muscolare periferico intossicando le mosche ed uccidendone gran parte. Tuttavia l’alto indice di mortalità potrebbe essere dovuto alle condizioni sperimentali lontane da quelle naturali o all’anidride carbonica prodotta dal fungo nell’ambiente ristretto [90].

Un estratto acquoso di Amanita muscaria ha manifestato un significativo effetto larvicida contro le zanzare (Culex quinquefasciatus) [91].
L’acido tricolomico ha inibito i neuroni degli invertebrati [92].

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